The Catholic Church

Don Aldo Buonaiuto | Comunità Papa Giovanni XXIII, Italy

The Catholic Church

Il primo pensiero di questo mio contributo va alle 26 ragazzine dai 14 ai 18 anni che, il 5 novembre 2017, hanno perso la vita sui barconi tentando di raggiungere il nostro paese. Nessuno dei media ha spiegato come mai si trovassero su quelle barche, a cosa erano destinate queste ragazze sole; in quei giorni eravamo riuniti per il Workshop, ed è proprio alla loro solitudine che vorrei dedicare questo mio scritto. La stessa solitudine spaventosa che vivono ancora oggi le vittime, anche quelle che vengono recuperate nelle nostre associazioni, la medesima solitudine delle associazioni che si occupano delle vittime della tratta e, in particolare, delle vittime, delle donne trafficate a causa della prostituzione coatta. Nel 2018 saranno cinquant’anni che siamo sulle strade del mondo, oggi in 40 paesi, da trent’anni abbiamo questa esperienza della schiavitù in strada, in Italia e in tante altre parti del mondo. Non posso non citare Don Oreste Benzi, perché è il nostro fondatore e perché lui è stato il pioniere, a partire da questa nostra Italia, di una missione che, quando iniziò a svolgere, non era compresa. Don Oreste, che oggi è in causa di beatificazione, veniva deriso, beffeggiato, quando diceva che sulla strada c’erano donne schiavizzate, tutti gli andavano contro, lo consideravano esagerato. E allora rafforzava la dose, affermava che tutte le donne sono schiavizzate, perché non è naturale per una persona, per una donna, prostituirsi. La schiavitù riguarda un sistema che promuove questo sfruttamento, un sistema promosso da criminali senza scrupoli e, se parliamo delle donne vittime della tratta, non possiamo non andare a cercare le cause che provocano queste ingiustizie, che noi dobbiamo sentire insopportabili. Infatti, Don Oreste, diceva sempre che nessuna persona, nessuna donna nasce prostituta, c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare. E noi non possiamo metterci dalla parte di chi fa diventare le donne prostitute, dobbiamo metterci invece dalla parte di chi le vuole liberare. Dinnanzi alla totale assenza e silenzio delle istituzioni, trent’anni fa c’era un vuoto anche dentro il mondo cristiano e nella Chiesa cattolica. Da trent’anni ad oggi sono stati fatti comunque molti passi avanti, anche per far riconoscere allo Stato italiano e ad altri Stati, le donne che si trovano nelle strade, nei night, nei privé, negli alberghi, nei sexy restaurant, come vittime di uno sfruttamento e della spietatezza di uomini senza scrupoli, i quali acquistano il corpo di queste ragazzine pensando di averne il diritto. Ancora tanto c’è da fare, nella Chiesa questo dramma umano non è ancora conosciuto pienamente, don Oreste sembrava un prete strano, lasciava tutti senza parole dinanzi a quella sua denuncia aperta, detta a voce alta, gridata alle istituzioni di fare qualcosa, per salvare le schiave che lui diceva “non possono aspettare! devono essere liberate”. Dobbiamo darci da fare per cercare innanzitutto le vie della liberazione, non il mantenimento di queste donne sulle strade: è la cosa più urgente, perché loro non possono aspettare.

Un grande passo fu fatto quando venne riconosciuto il lavoro delle associazioni preposte ad accogliere le vittime, con un percorso di protezione e di integrazione e con il rilascio in Italia del permesso di soggiorno, grazie alla legge 286 del 1998. Si riconosceva, a quelle donne che denunciavano gli sfruttatori, il diritto di essere aiutate, accolte, accompagnate; ma questa legge italiana, cui don Oreste lavorò molto per aiutare e incoraggiare i nostri parlamentari, prevedeva e prevede che le donne sfruttate possano avere il permesso di soggiorno a prescindere dalla denuncia. Ci sono due comma importanti in questa legge, grazie ai quali la donna può ottenere il permesso di soggiorno anche quando, pur non denunciando, viene accolta dalle associazioni riconosciute, e ha comunque il diritto di essere accompagnata e la garanzia di permanenza sul territorio italiano. Questa, per noi in Italia, è una legge importante, perché riconosce quello stato di sfruttamento e di schiavitù. Purtroppo però, una volta che le donne ricevono questo permesso, tutto si ferma. Le ragazze rimangono sole, anche se accolte, e questo avviene nelle nostre associazioni. Lo stato sembra non interessarsi più di loro, c’è un riconoscimento con il permesso di soggiorno del loro stato di bisogno, ma poi non c’è più niente, le associazioni rimangono sole a doversi occupare di queste donne e non c’è, di fatto, una protezione concreta e un percorso di integrazione reale. Queste ragazze possono farsi aiutare, ma ottenuto questo permesso e dopo il primo periodo di accoglienza, qualora scelgano di continuare da sole, sprofondano in tanti altri pericoli dovuti proprio a questa solitudine. Non c’è un vero accompagnamento di queste vittime, non c’è una reale attenzione per loro.

Nella Chiesa, durante il Giubileo del 2000, ci fu una grande scossa quando Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro, accolse una ragazza accompagnata da don Oreste, che raccontò proprio al Papa il suo dramma. Era una ragazza malata, che infatti morì un anno dopo, a causa della terribile malattia dell’HIV. Anna viveva nella mia casa e forse tutti ricorderanno quell’abbraccio e quella carezza di Giovanni Paolo II. L’occasione di confronto che abbiamo avuto, in Vaticano, dal 4 al 6 novembre 2017 grazie a Papa Francesco, a Mons. Sánchez Sorondo e alla Presidente Archer, dobbiamo portarla sul campo delle Chiese locali, che non sono sufficientemente coinvolte. Mancano iniziative concrete, non vengono coinvolte le Conferenze episcopali, non si coinvolgono sufficientemente le diocesi, che potrebbero fare molto nei territori dove queste donne si ritrovano schiavizzate. Questo mercato vergognoso risulta invisibile e anche presso gli uffici della Pastorale dei migranti non si parla quasi mai del problema della tratta e della prostituzione. I nostri incontri sono molto importanti, però poi devono calarsi nelle realtà territoriali, questa Chiesa così importante deve aiutare i pastori e tutti i vari uffici pastorali ad interagire e a cercare queste vie della liberazione delle ragazze, che deve riguardare tutti i cristiani. Dobbiamo ancora lottare tanto, per farci aiutare in tutte le fasi, dobbiamo lottare perché sulle strade siamo da soli. Troviamo tante difficoltà, a nostro rischio e pericolo, e le ragazze sono da sole perché le forze dell’ordine fanno pochissimo. Allo stesso tempo siamo da soli nelle nostre case rifugio, nelle nostre case famiglia, con difficoltà otteniamo qualche finanziamento. Siamo da soli nei processi di integrazione, quasi nessuno si interessa di queste persone, sembrano invisibili. Molti ci fanno la battuta, specialmente nel mondo politico, e ci spiegano perché queste donne non interessano; la battuta che ricorre spesso è “perché non portano voti”.

A volte, però, avvengono dei miracoli. L’anno scorso, il Santo Padre Papa Francesco, è venuto a bussare ad una nostra casa rifugio e si è messo in ascolto per due ore, di queste figlie, perché così le ha trattate, proprio come delle figlie. E questo gesto così importante del Santo Padre ha aiutato le donne che si trovano a soccombere a questa sciagura. Percorriamo il cammino della sensibilizzazione, quasi ogni anno realizziamo una Via Crucis che chiamiamo “per le donne crocifisse”, per tentare di concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo dramma. Tutto ciò, ha prodotto anche l’interessamento, nell’ultimo anno, di un sindacato importante nel nostro paese, la Cisl, che si è impegnata a cercare lavoro per queste donne. Questo per noi è un piccolo successo, perché c’è stata una risposta da un’istituzione che si occupa del mondo del lavoro. Tutto questo ancora non basta, le ragazze che escono dalle strade restano fondamentalmente sole. E questa solitudine è dovuta anche ad una grande ignoranza, di chi si permette ancora di dire che sono lì a causa della loro superficialità e non a causa di criminali senza scrupoli che organizzano questo racket così come hanno fatto per queste 26 ragazzine uccise, proprio per essere portate in Italia e avviate alla prostituzione. È una vergogna delle vergogne che la prostituzione coatta non venga considerato un crimine contro l’umanità, è una vergogna che queste nostre sorelle non vengano ancora considerate dagli Stati come le prime persone bisognose di tutto, perché tutto è stato loro tolto. Io vivo in una casa dove ci sono giovanissime ragazze che non avranno più un futuro, hanno le orecchie tagliate, sono state storpiate e gambizzate, alcune paralizzate; erano ragazze bellissime ma oggi non hanno più davanti ai loro occhi un futuro. Se non prendono gli psicofarmaci hanno un solo desiderio, quello di togliersi la vita. Gli è stato tolto tutto e mi chiedo quale paese, da cui provengono, si metterà mai in ginocchio a chiedere perdono per quello che è stato fatto loro. La Romania, la Nigeria, la Moldavia, l’Albania, e tanti altri paesi da dove le ragazze provengono, quando si prostreranno per aver distrutto la vita delle loro figlie? Non possiamo tollerare questa ignominia e chiediamo che venga fatto qualcosa di concreto perché le parole non bastano, bisogna unirsi per trovare la via della liberazione di queste figlie. Penso che sia il momento che questa unità, espressa dalle nostre intenzioni, continui non solo nei momenti di analisi ma anche sul terreno della vita di ogni giorno, perché soltanto uniti possiamo svegliare le istituzioni a fare la loro parte.

Lo scorso anno abbiamo attivato una campagna che potete trovare sul sito www.questoeilmiocorpo.org per aiutarci a fermare la domanda, la potete sottoscrivere personalmente, o sotto forma di associazione, sarebbe un grande dono, un grande sostegno per affermare che anche in Italia possiamo adottare il cosiddetto Modello nordico che sta funzionando molto bene in Europa. Questa è la prima richiesta che faccio per aiutare il nostro Paese Italia. Per fermare la domanda di questo mercato ignobile dobbiamo citare il cliente come primo responsabile e contrastare l’acquisto del corpo umano per motivi sessuali, perché questa società ha la mentalità della prostituzione. Non dobbiamo chiamare queste ragazze prostitute, ma prostituite: è diverso, è il sistema che prostituisce, che le costringe sulla strada. In secondo luogo vorrei chiedere di istituire una giornata contro la prostituzione schiavizzata. Questa piaga sociale, quando si parla di violenza sulle donne o di tratta, viene messa in secondo piano. Ritengo importante, invece, porre l’accento su questo dramma ed estendo la mia richiesta a Mons. Sánchez Sorondo, che da tanti anni si occupa di questa schiavitù e che ha la più grande esperienza, di portare questa istanza al Santo Padre, nella speranza che il Papa possa chiedere a tutti gli Stati di unirsi su questo “Modello nordico”, perché sarebbe molto importante.