Sviluppo sostenibile e nuovi modelli di welfare comunitario: il ruolo guida delle città

Giorgio Gori | Mayor of Bergamo

Sviluppo sostenibile e nuovi modelli di welfare comunitario: il ruolo guida delle città

Buongiorno a tutti voi, cari colleghi Sindaci e Governatori e grazie di cuore alla Santa Sede e alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali per l’invito di oggi. Vi porto il saluto affettuoso dei cittadini di Bergamo. È per me un grande onore condividere con voi in questa giornata l’attenzione del Santo Padre per le nostre comunità e il comune impegno a promuovere uno sviluppo finalmente rispettoso di ogni uomo e della terra che ci ospita.

Bergamo è la terra di Gaetano Donizetti, di Caravaggio, dei Mille di Garibaldi. Ma, soprattutto, è la terra del Santo Papa Giovanni XXIII, la cui Pacem in Terris oltre 50 anni fa rappresentò un passaggio importantissimo nella riflessione sui diritti fondamentali di ogni essere umano. Può sembrare un’ambizione eccessiva quella di migliorare il mondo a partire dalle città, soprattutto se parliamo di una città di soli 120.000 abitanti come Bergamo, certo non una grande metropoli. I temi che Papa Francesco ha posto al centro della sua riflessione, attraverso la lettera enciclica Laudato Si’, sono talmente giganteschi e universali da far sembrare inadeguate le stesse politiche nazionali e sovranazionali, figuriamoci la dimensione di una media città. Eppure è proprio in una fase come quella che stiamo attraversando, mentre l’ordine mondiale sembra incapace di assumere decisioni che pure ci appaiono improrogabili, in cui globalmente fatica ad emergere la volontà di modificare un modello di sviluppo che mostra chiaramente i suoi limiti, che le città, a mio avviso, possono davvero fare la differenza. Persino una media città come Bergamo può rappresentare un luogo in cui sperimentare concretamente un diverso rapporto con l’ambiente e nuove modalità di contrasto delle più diverse fragilità, consapevoli che i due fronti camminano insieme perché appartengono, come ci ha spiegato Papa Francesco con la sua lettera enciclica, alla medesima ecologia integrale, esattamente come, in negativo, la logica che porta a trascurare e a distruggere le risorse naturali è la stessa in cui non trova spazio l’attenzione per i più deboli.

Un fronte di grande importanza, per esempio, è quello della salvaguardia del territorio. Negli ultimi decenni l’urbanizzazione più disordinata ha comportato un consumo del territorio assolutamente folle. Si è concepita la crescita delle città come costante espansione, generando periferie degradate e riducendo di molto gli spazi per l’attività agricola. Oggi noi poniamo al centro del nostro operato in questo campo lo stop al consumo di suolo e la riqualificazione della città costruita. La valorizzazione del patrimonio culturale del paesaggio, la cura degli spazi pubblici e del verde si accompagnano così al recupero delle aree dismesse, a quella che Renzo Piano ha chiamato l’opera di “rammendo delle periferie”, all’obbiettivo di migliorare la qualità di vita di chi vi abita attraverso la creazione di luoghi d’incontro e di coesione sociale. Questa è una delle scommesse che parte dalle città, così come quella di una più efficiente gestione dei rifiuti, che ovviamente si accompagna all’obiettivo di una forte riduzione degli sprechi e a un ambizioso progetto di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico e privato.

È questa la dimostrazione che la tecnologia può concretamente porsi al servizio di un uso più assennato delle risorse. Proprio a pochi chilometri da Bergamo, per esempio, è attivo il più grande impianto europeo per il riciclaggio dei rifiuti, in grado di trattare 120.000 tonnellate annue di imballaggi di plastica post-consumo, e quasi 400.000 tonnellate di rifiuti organici da raccolta differenziata, prodotti dall’80% dei cittadini della Lombardia, recuperando il 100% di questo materiale per usi diversi ed evitando che oltre 200.000 tonnellate di emissione di CO2 ogni anno vengano prodotte.

E ancora, come osserva Papa Francesco, è nella dimensione locale che può nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa. Bergamo conferma questa visione nella straordinaria molteplicità delle esperienze di volontariato e di cittadinanza attiva che la caratterizzano. Da qui, addirittura dalla dimensione dei quartieri, parte la sperimentazione di un nuovo modello di welfare comunitario, che alle istituzioni comunali affianca la solida competenza maturata dai soggetti della cooperazione sociale e la rete solidale costituita appunto da tutti quei cittadini che, nei loro quartieri, decidono di prestare tempo ed energia alla cura degli altri, delle più diverse fragilità, e alla costruzione del bene comune.

Anche in un contesto come questo, per molti versi incoraggiante, emergono tuttavia contraddizioni e motivi di preoccupazione: la vicenda dei migranti, sempre più spesso visti con paura, fino a generare da parte di molti un vero e proprio rifiuto, ci indica come la forte propensione a coltivare elementi di identificazione alla base della tenuta del tessuto sociale delle nostre comunità, possa in taluni casi trasformarsi in chiusura, anziché darsi come punto di partenza per il dialogo e per la rielaborazione delle diversità. Si rischia così di dimenticare la lezione del Santo Papa Giovanni XXIII, che proprio nella Pacem in Terris affermò il diritto per ogni essere umano di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse, laddove si ritiene di potersi creare un avvenire per se’ e per la propria famiglia, nonché il uso monito a ricordare che i profughi politici sono persone delle quali si ha il dovere di favorire l’integrazione.

I migranti in arrivo dal Nord Africa e dal Medioriente vengono invece cinicamente descritti come una minaccia, e una dopo l’altra troppe porte si chiudono con evidente responsabilità accompagnata da evidenti carenze organizzative dello Stato, di chi strumentalmente agita un’assurda guerra tra poveri. Non si ha, purtroppo, la consapevolezza del fatto che la miseria e le conseguenze dei mutamenti climatici da cui, oltre che dalle guerre e dal terrorismo, fuggono queste persone sono in larga misura collegate al nostro modello di sviluppo e di sfruttamento insostenibile delle risorse naturali. Rischia di smarrirsi la coscienza di appartenere a una sola famiglia umana.

Con ciò, a maggior ragione, dobbiamo impegnarci, io credo, per far prevalere i valori positivi di cui le nostre comunità sono ricche e promuovere una visione ecologica sempre più integrale in cui la preoccupazione per la natura, in forte crescita presso i nostri cittadini, non possa essere disgiunta dall’attenzione verso i più poveri e i diseredati.

Grazie per la vostra attenzione.