Discorso di apertura

Pietro Parolin | Cardinal Secretary of State

Discorso di apertura

Eminenza,
Eccellenze,
Signore e Signori partecipanti alla sessione plenaria della Pontifica Accademia delle Scienze Sociali,

in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo a causa della guerra, in cui la dimensione conflittuale tra gli uomini ha preso il sopravvento in contesti geografici a noi così prossimi, è importante soffermarsi a riflettere sui fondamenti della relazionalità umana, meglio ancora, su quel “luogo” antropologico dove ogni essere umano nasce, cresce e impara ad entrare in relazione con gli altri: la famiglia, cellula fondamentale della società (cf. EG 66). In essa si strutturano le condizioni della pace, dentro di noi e fuori di noi, e si impara a convivere nella differenza.

La famiglia, infatti, è il primo fattore di umanizzazione delle persone e della vita sociale, ma le evidenti difficoltà in cui versano oggi le relazioni familiari, il matrimonio e l’idea stessa dell’amore da cui si genera la famiglia, ci impongono considerazioni nuove per capire come rimettere al centro della riflessione accademica, culturale ed ecclesiale quelle dimensioni fondanti della famiglia che possano farla percepire per ciò che è: un bene per i singoli e per la società.

In tal senso, la scelta che avete compiuto di impostare la riflessione di questa Assemblea plenaria sulla realtà familiare a partire dal suo essere un bene relazionale, in cui è in gioco il bisogno fondamentale di amore di ogni essere umano, non è solo opportuna, ma decisiva per il futuro del mondo e della Chiesa (AL 31).

La famiglia è di per sé una “intima comunità di vita e di amore” (GS 48), ma il gap che le generazioni contemporanee stanno vivendo tra l’ideale cristiano della famiglia e la concreta e spesso faticosa esperienza quotidiana delle relazioni affettive e familiari è costituito proprio dalla sfida dell’amore.

Pur senza entrare nel merito di una disamina specifica delle modalità con cui si manifesta la vita di coppia nella post-modernità, non possiamo trascurare un rapido sguardo su quanto sta accadendo nelle società e negli ordinamenti contemporanei in relazione al tema degli affetti nel matrimonio e nella famiglia.

In gran parte dei Paesi del mondo, soprattutto a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, in seguito al diffondersi delle leggi sul divorzio e delle unioni libere, si è verificata una vera e propria ridefinizione della coppia, che ha portato con sé una ritematizzazione del concetto di famiglia.

I dibattiti che hanno accompagnato il riconoscimento dei legami inter-individuali diversi dall’unione stabile tra uomo e donna hanno condotto alla rappresentazione della coniugalità e del rapporto di coppia in genere come un legame fondato sulla “conversazione” intimistica tra due soggetti – nella duplice dimensione amorosa e amicale – che avrebbe senso in sé stessa, indipendentemente dalle identità sessuate delle persone e dalla dimensione procreativa, cioè, da una progettualità familiare.

Il vincolo tra uomo e donna, in altre parole, non sembrerebbe più servire la dialettica tra i sessi nel suo farsi generativa, bensì dinamiche inter-soggettive sessualmente neutre, interessate solo a gestire le condizioni affettive e materiali della convivenza. In tal senso, le nuove modalità di accedere alla vita di coppia riflettono una profonda ristrutturazione della vita intima, tipica della post-modernità. L’uso ormai consueto del termine “relazione” per designare un vincolo sentimentale stretto e continuativo con un altro soggetto esprime queste trasformazioni, in cui la relazione viene costituita in virtù dei vantaggi che ciascuna delle parti può trarre dal rapporto con l’altro, mantenendosi stabile fin tanto che entrambe le parti ritengono di trarne sufficienti benefici a giustificarne la continuità.

La scissione tra sessualità, matrimonio e famiglia tende poi a legittimare nel pensiero più diffuso l’idea per cui la vita di coppia sia pensabile solo nel quadro della soggettività e della privatezza individuale, secondo esigenze funzionalistiche dei rapporti umani. La difficoltà maggiore, cioè, sta nel non riuscire a cogliere del vincolo coniugale la profonda ed essenziale dimensione relazionale unitaria, stabile ed indissolubile.1

Certamente, gli effetti di questi cambiamenti non possono rimanere circoscritti alle dinamiche della coppia. È indubbio che in termini antropologico-giuridici, il vincolo uomo-donna non possa essere pensato solo in relazione alla coppia, poiché da esso si genera la famiglia, ragion per cui ogni cambiamento nella comprensione della vita di coppia non può che tradursi in un cambiamento nella comprensione della realtà familiare. Ciò è tanto più vero se si pensa alle nuove legislazioni che, ritematizzando il concetto di generazione della vita e di filiazione, hanno introdotto nuove modalità artificiali e legali per dare a ciascun individuo il figlio desiderato, a prescindere dalla sessualità dei soggetti, dall’esistenza di una relazione e, tanto più, di un vincolo coniugale.

Alla radice di tutto ciò, come illustrato da autorevoli studiosi, vi sono alcune disfunzioni nella comprensione dell’amore di coppia, che viene alternativamente pensato come “amore libero” o come “amore romantico”. In particolare, in quest’ultimo caso, l’amore assume la veste di un vero e proprio ideale, per cui ci si sposa per amore e si divorzia per amore, orientando il proprio desiderio non all’altro e al suo bene, ma al bisogno che si ha dell’altro, in una prospettiva autoreferenziale.

Il riduzionismo che ha intaccato la dimensione ontologica dell’amore nella comprensione sociale, richiede, pertanto, il recupero di una riflessione che, da un lato sappia andare al di là della mera dimensione utilitaristica dell’amore contemporaneo, in cui il vincolo coniugale è visto come strumento di contenimento delle spinte egoistiche ed individualistiche dei singoli: ragion per cui viene sempre più spesso messo da parte, facendo optare la maggior parte dei giovani d’oggi per una convivenza più libera, in cui le regole dell’amore si fanno più elastiche, continuamente ricontrattabili, e il legame così debole da non poter essere percepito nello spazio pubblico.

Dall’altro è auspicabile che la riflessione possa aiutare soprattutto la Chiesa ad accompagnare i giovani e le famiglie oltre la cultura del provvisorio, che si sostanzia in una fragilità affettiva profonda e che conduce a relazioni brevi, abbandonate «alla precarietà volubile dei desideri e delle circostanze [...], come se al di là degli individui non ci fossero verità, valori, principi che ci orientino, come se tutto fosse uguale e si dovesse permettere qualsiasi cosa» (AL 34).

Ciò premesso, desidero ora tratteggiare con voi alcune brevi riflessioni sul secondo termine del titolo di questa Plenaria, ossia il significato ontologico relazionale dell’amore tra uomo e donna. Metterne a fuoco alcuni aspetti fondamentali ci consentirà poi di comprendere perché la famiglia fondata sull’autentico amore donativo nel rapporto tra i sessi e le generazioni può mostrare il suo vero volto di bene relazionale personale e sociale. Come, infatti, si legge in Amoris laetitia 53, «per quanto ferita possa essere una famiglia, essa può sempre crescere a partire dall’amore».

Esiste un rapporto circolare tra la persona, il suo essere-in-relazione e l’amore. «L’uomo è relazione e ha la propria vita e sé stesso solo nel modo della relazione. Da solo – spiega Joseph Ratzinger – io non sono affatto me stesso, ma lo sono soltanto nel tu e mediante il tu».2

L’archetipo del rapporto umano fra l’io e il tu si trova, in ultima analisi, nella stessa Trinità. Nella teologia, le persone divine vengono definite proprio come “relazioni sussistenti” ad indicare che le relazioni di paternità, di figliolanza e di eterna comunione d’amore non sono qualcosa di accidentale, che si aggiunge in un secondo momento a dei soggetti preesistenti, ma queste relazioni sono proprio ciò che costituisce le persone divine. In Dio l’essere in relazione all’altro (esse ad) coincide con l’esistere e con l’essere in sé (esse in): l’essere più profondo di ciascuna persona divina è il suo essere relazione all’altro.3 Ora, se pensiamo che l’uomo è creato “a immagine di Dio” e che in questa affermazione la Rivelazione non fa riferimento ad un dio generico ma a Dio Trinità, capiremo quanto è radicata nell’essenza stessa della persona umana la dimensione relazionale e quanto essa contribuisca in modo decisivo affinché ognuno diventi ciò che è chiamato ad essere.

Ciò che, in particolare, consente alla persona di realizzarsi in pienezza non è la relazione generica, ma la relazione donativa, il dono di sé e di accoglienza dell’altro, ossia la relazione d’amore.

La forma d’amore che in maniera più specifica realizza l’amore come dono totale della persona è l’amore sponsale, che differisce da ogni altra manifestazione dell’amore umano, proprio per il carattere totalizzante di questo dono, che avvolge le dimensioni più profonde e il valore stesso della persona in una dinamica di riconoscimento reciproco e di benevolenza tra i soggetti che si amano, non secondo la formula “tu sei un bene per me”, ma piuttosto “desidero ciò che è bene per te”.

Lo spiega chiaramente Karol Wojtyła: «In un soggetto individuale l’amore si forma passando attraverso l’attrazione, la concupiscenza e la benevolenza. Tuttavia trova la propria pienezza non in un solo soggetto, bensì in un rapporto tra soggetti, tra le persone».4 È il dono del proprio “io”. È più che voler bene. Fa nascere il dono reciproco delle persone. 

L’amore, infatti, non è solo un rapporto reciproco di persone, ed ha quindi un carattere inter-personale – dunque relazionale – ma è l’atto e la condizione che realizza nel modo più completo l’esistenza della persona mediante il dono di sé. «L’uomo – si legge nella Redemptor hominis,10 – non può vivere senza amore. Egli rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta [...]».

In particolare, nel rapporto tra uomo e donna, l’amore vero perfeziona l’essere della persona e ne sviluppa l’esistenza.5 Per essere in pienezza persone, dunque, bisogna poter stare nella relazione dell’amore sponsale. In particolare, nella famiglia, la differenza sessuale inscritta nei corpi dell’uomo e della donna è lo spazio nel quale si esprime e si realizza l’amore vissuto come eros e agape, pathos e logos, in una continua ricerca di senso e di significati di quell’incompiutezza a cui rinvia la differenza, che è costitutiva, relazionale e generativa.

La persona, dunque, ha una dimensione sponsale, è ontologicamente relazionale. La considerazione della differenza è inscindibile da quella dell’essenza della persona. La radice metafisica della differenza sessuale, d’altronde, è stata ribadita di recente dalla Congregazione per l’educazione cattolica: «uomo e donna sono le due modalità in cui si esprime e realizza la realtà ontologica della persona umana».6

La riflessione più recente sull’antropologia relazionale di coppia ha evidenziato, peraltro, come la differenza non sia una mancanza da riempire con un rapporto fatto di contrattazioni bilaterali o di rinunce – come nella vita concreta viene sovente oggi percepita la relazione uomo-donna – ma è piuttosto l’orizzonte, lo spazio dove l’Altro è atteso, riconosciuto, accolto, a cui aprirsi e da cui si genera ogni possibilità di vita.

Riconoscendo la differenza, se ne riconoscono la complementarietà, la reciprocità, ma anche l’asimmetria. Una asimmetria uomo-donna che, tra l’altro non si manifesta in famiglia solo nei rapporti all’interno della coppia, dove l’altro è sempre altro-da-me e per questo irriducibile, ma in qualsiasi rapporto familiare: paternità, maternità, fraternità, ed in ogni rapporto inter-generazionale e intra-generazionale. In tal senso, la famiglia, a partire dal dono sponsale, si fa luogo di alleanza e di reciproca dipendenza tra i ruoli che istituisce, sublimando così non solo bisogni biologico-riproduttivi, ma bisogni umani: far sì che ciascuno dei soggetti familiari sia riconosciuto e amato in sé e per sé nella totalità della sua persona.

In particolare, – come ha messo in evidenza una parte della riflessione filosofica femminile della fine del XX secolo – nel rapporto di coppia uomo-donna, i corpi differenti attestano una verità antropologica ricca di senso, ossia che, nella differenza, il due è già da sempre aperto al tre, che non è solo il figlio che nasce dalla relazione, ma in primis la relazione stessa, come bene in sé e altro rispetto alla donna e all’uomo. Infatti, a differenza di quanto tende a pensare, l’approccio dell’amore romantico, l’amore vero e reciproco non va inteso solo come l’amore dell’uno per l’altro, come se fosse solo nell’uomo e solo nella donna, poiché come spiega Karol Wojtyła, in definitiva così si avrebbero due amori, uno di fronte all’altro; piuttosto l’amore vero è quella relazione che esiste tra loro e che li lega. È quel fattore inter-personale che unisce e che li rende un “noi”.7 E che può realizzarsi solo nell’amore sponsale, che a sua volta si realizza in pienezza nel vincolo stabile e definitivo.

In altre parole, la relazione d’amore sponsale, da cui scaturiscono poi le relazioni d’amore familiare, è quella dimensione oggettiva, che esiste tra i soggetti, che si pone come terza tra loro e che non è la somma dei suoi termini, ma è una realtà in sé stessa che esprime l’originario bisogno di relazione.

Richiamandosi ancora al paradigma trinitario, è utile considerare che, nella vita intima di Dio, accanto all’amore del Padre verso il Figlio e all’amore del Figlio verso il Padre, esiste anche il loro reciproco amore “fatto ipostasi”, lo Spirito Santo. La terza persona dellaTrinità, infatti, può essere concepita come l’eterna relazione d’amore fra il Padre e il Figlio “fatta persona”.8 È dunque una relazione che da sempre si “oggettivizza” al punto da costituire una ipostasi a sé stante.

Per tornare all’ambito umano, è in questa terzietà della relazione d’amore e nel suo manifestarsi nella forma più piena nel principio della generatività, che si struttura la famiglia come comunione di vita e di amore, e prima ancora, sul piano antropologico, come communitas, dove il termine cum munus significa proprio la condivisione di un dono (il dono di sé nella relazione d’amore) e la cooperazione ad un compito generativo che da esso deriva. Così la comunità familiare si costruisce intorno al suo munus, che è la stessa relazione, patrimonio e valore, che trascende interessi e obiettivi particolari, bene comune che non è di proprietà di nessuno, ma condiviso e vincolante per tutti.9

Tutto ciò oggi, per quanto a noi noto, non è affatto scontato e andrebbe seriamente rielaborato con argomentazioni e un linguaggio, tali da far comprendere ai giovani l’unicità privilegiata della famiglia stabile quale veicolo di certezze, di senso e di felicità. Valori questi che si generano solo all’interno di legami familiari forti.

È qui che si gioca nelle società post-moderne la sfida dell’amore: che cosa significa, infatti, amare in maniera sponsale, in un mondo in cui i legami personali e familiari – e in particolar modo il matrimonio – è stato ridotto dalla cultura, dal costume e dal diritto a mero strumento di gratificazione affettiva, che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno (cf. EG 66)? Come aiutare il pensiero e la cultura a rivalutare le relazioni familiari e a percepirne la capacità virtuosa in tutti gli aspetti della vita sociale? Come accompagnare le coppie e le famiglie che ancora non hanno scoperto le potenzialità del loro amore sponsale ad abbracciare con gradualità la scelta del matrimonio cristiano? La risposta a queste domande richiede di tenere separati i piani di azione.

Sul piano giuridico, la privatizzazione degli affetti e dei desideri individuali rischia di svuotare la famiglia dei suoi compiti primari, riducendola a “luogo dell’affettività”. In tal senso, il termine privatizzare va realmente ricondotto alla propria origine etimologica, ossia privare: ha svuotato di qualche cosa una realtà che era portatrice di caratteristiche e requisiti intrinseci, che ora rischia di non avere più. Centrato sulla soddisfazione dei bisogni individuali, il diritto sta dando forma a diritti individuali auto-referenziali,10 secondo la formula Voglio, dunque ho dei diritti, che sta trovando applicazione soprattutto in relazione alla coppia e alla filiazione. Un diritto-pretesa considerato come quanto di più connaturato vi sia al soggetto, perché di sua spontanea e immediata percezione.

In tal senso, è necessario riflettere su come restituire ai diritti individuali, applicati all’ambito familiare, quella dimensione relazionale, essenziale per salvaguardarne la giustizia. Ogni vincolo familiare, infatti, ha un carattere intrinsecamente giuridico, che l’individualismo tende a snaturare: così la maternità, la fraternità o la sponsalità, a cui non vanno riconosciute solo spettanze esterne, ma contenuti antropologici fondanti, propri di queste relazioni. Dunque, pensare in termini di diritti familiari relazionali può essere decisivo.

Sul piano della riflessione ecclesiale e pastorale, poi, è quantomeno necessario prendere sul serio quanto segnalato in Amoris laetitia, e cioè che tutto quanto detto finora sul significato dell’amore sponsale e la sua necessità di essere stabile, certo e definitivo, non esclude che l’amore quotidiano non solo sia sempre e inevitabilmente perfettibile, ma debba accettare di convivere con l’imperfezione (AL 113). La dinamica dell’amore familiare attiene alla dimensione dell’essere, non del dover essere. Non è un ideale da realizzare, ma una realtà dinamica mediante la quale si realizza il bene umano, in una duplice dimensione: come bisogno di completamento dell’individuo nella relazione con l’altro e come luogo di dono e accoglienza in virtù della naturale dipendenza reciproca degli esseri umani.

Il Santo Padre Francesco, con grande lucidità, elabora in tal senso nell’esortazione apostolica Amoris laetitia, una psicologia e una teologia dell’amore familiare non idilliaca e astorica, ma consapevole del fatto che uomini e donne siamo una complessa combinazione di luci e ombre, per cui nella realtà «non esistono le famiglie perfette» (AL 135) ed ogni famiglia richiede sempre un graduale sviluppo della propria capacità di amare (AL 325). Il fine ultimo, ma concreto, per ogni relazione d’amore, è che quell’amore sappia generare vincoli, coltivare legami (AL 100), perché sono i legami che strutturano l’uomo e lo rendono ciò che è: soggetto-in relazione.

Prendendo, dunque, le mosse dalla considerazione delle relazioni familiari fondamentali: coniugalità, paternità/maternità e filiazione, e fraternità, l’espressione amore familiare si riferirà all’intreccio e all’insieme dell’amore coniugale, dell’amore paterno/materno/filiale e dell’amore fraterno. Ciascuno di quegli amori andrà curato e salvaguardato, pena la sofferenza dell’amore familiare e di ogni relazione al suo interno.

Ciò che oggi, infatti, è urgente recuperare è la capacità di prendersi cura di queste relazioni. Se la relazione è sempre un terzo rispetto ai soggetti che la vivono, di questo terzo è davvero indispensabile avere cura.

A tal fine, come Chiesa abbiamo bisogno di dotarci di nuove competenze relazionali, che sappiano accompagnare i giovani, gli sposi, ma anche e in special modo tutte quelle famiglie che ancora non vivono nella realtà sacramentale del matrimonio, per camminare con loro verso la pienezza dell’amore cristiano.
Rivedere la metodologia e il nostro modo di proporre i contenuti della

preparazione al matrimonio, ad esempio, nella prospettiva di un vero e proprio catecumenato matrimoniale, è ciò che auspica il Santo Padre Francesco. Un catecumenato inteso come “itinerario indispensabile dei giovani e delle coppie destinato a far rivivere la loro coscienza cristiana” a partire dal Battesimo, che “diventi parte integrante di tutta la procedura sacramentale del matrimonio”11 e non solo abbia inizio con una preparazione molto remota ai ragazzi più giovani, perché venga loro proposta l’idea del matrimonio come una vocazione cristiana, fin da quando sono bambini; ma prosegua per tutta la vita coniugale, proprio perché il catecumenato “nella vita necessita del carattere permanente, essendo permanente la grazia del sacramento matrimoniale”.12

In tal senso, abbiamo di fronte a noi una vera e propria emergenza pastorale, che ci richiede uno sforzo notevole per abbandonare schemi ormai vecchi e inadeguati, che si accontentano di accompagnare con incontri “lampo” le coppie che si preparano al matrimonio, prendendo invece sul serio l’esigenza del grande Popolo di Dio, formato da laici, uomini e donne, che desiderano costruirsi una famiglia, sentendosi parte della Chiesa.

Con coraggio è pure necessario raggiungere e abbracciare tutte quelle famiglie, fondate solo sulla convivenza, che, non avendo ancora compiuto il passo del matrimonio cristiano, si avvicinano timidamente alla Chiesa. Avere cura dei loro beni relazionali può condurle alla scoperta di un amore davvero sponsale. “In queste situazioni potranno essere valorizzati quei segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio” (AL 294), avviando processi (EG 223) che, con gradualità, possano condurre le coppie a scoprire la bellezza cristiana del loro legame. Ciò sarà di aiuto non solo a queste coppie, ma anche alla Chiesa: «è sano prestare attenzione alla realtà concreta», perché «le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano in essa e «la Chiesa [così] può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia» (AL 31).

Sarà, dunque, necessario far sì che tra formatori e accompagnatori si sviluppino nuove competenze relazionali. Ma è indispensabile anche far emergere una nuova categoria teologico-pastorale: la relazione, declinata nella duplice veste di relazione sponsale e di relazione familiare.13 Il “noi” coniugale è un bene relazionale, è il primo “figlio” della coppia da allevare con tenerezza, dedizione e pazienza, pena l’incapacità di vivere relazioni lunghe, in grado di portare alla pienezza dell’amore familiare. Allo stesso modo, ogni “noi” familiare va curato con tenerezza e dedizione: così la relazione materno/filiale, fin dalla gravidanza, che ha bisogno di una speciale cura da parte della Chiesa: accompagnare le madri con una spiritualità attenta al tempo e al “mistero” della gravidanza può essere decisivo per accompagnare tante situazioni complesse, in cui l’accoglienza della vita è a rischio; così come bisogna aver più cura della relazione padre/figlio; delle relazioni tra fratelli e tra nonni e nipoti.

È responsabilità della Chiesa rendere le famiglie consapevoli che le relazioni che le uniscono sono “cammini dinamici di crescita”, che richiedono di lottare, di rinascere, di reinventarsi e ricominciare sempre di nuovo (AL 124).

Il nostro agire pastorale, perciò, deve mostrare ancor meglio che la relazione con Dio Padre esige e incoraggia una comunione che guarisca, promuova e rafforzi i legami interpersonali. La famiglia è lo snodo di questi legami, dei beni relazionali, ma dobbiamo rimetterla al centro dei nostri discorsi pastorali con chiarezza e decisione. Mentre nel mondo riappaiono guerre e scontri, abbiamo il dovere di insistere nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti14 a partire dalla famiglia, dove si può imparare la pace. 

 

1 “Non si avverte più con chiarezza che solo l’unione esclusiva e indissolubile tra un uomo e una donna svolge una funzione sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità” (AL 52). 
2 J. Ratzinger, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, 2006, 98-100.
3 Cfr Summa Theologiae I-I, q. 28 art. 2.
4 K. Wojtyła, Amore e responsabilità, in G. Reale e T. Styczen ́ (a cura di), K. Wojtyła, Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, Bompiani, 2003, 552-553. 
5 K. Wojtyła, Amore e responsabilità, cit., 539.
6 Congregazione per l’educazione cattolica, Maschio e femmina li creò, 2 febbraio 2019, n. 34. 
7 K. Wojtyła, Amore e responsabilità, cit., 541-545.
8 Cfr S. Agostino, De Trinitate VI,5,7; XV,19,37; S. Tommaso, Summa Theologiae I-I, q. 36 art. 1. 
9 F. Botturi, Soggettività sociale della famiglia: una prospettiva genetica, in A. Neri, I. Lloréns, I fondamenti relazionali..., cit. 41-51.
10 Cricenti G., Il sé e l’altro. Bioetica del diritto civile, Roma, Aracne, 2012; Violini L., I diritti fondamentali e il loro futuro: il banco di prova del biodiritto, in Andrea Pin (a cura di), I nuovi diritti dell’uomo. Le sfide della società plurale, Venezia, Marcianum Press, 2012, pp. 121-142. 
11 Francesco, Discorso in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario del tribunale della Rota Romana, 21 gennaio 2017. Cfr. anche Amoris laetitia 205-211.
12 Francesco, Discorso in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario del tribunale della Rota Romana, 29 gennaio 2018. 
13 Cfr. C. Rocchetta, Una chiesa della tenerezza. Le coordinate teologiche dell’Amoris laetitia, Bologna, 2017, 47.
14 Cf. Evangelii gaudium, 67.